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05 / 07 2019

Al Mise 158 crisi ma il rilancio non decolla

0 Comment Carlo De Matteis

I numeri, da soli, sono già l’immagine del problema. Ma è quando si va a fondo, analizzando le difficoltà nella gestione e nella reindustrializzazione delle singole vertenze, che si comprende quanto critico sia diventato l’argomento “tavoli di crisi” al ministero dello Sviluppo economico. I 138 tavoli di gennaio sono diventati 158 con il coinvolgimento di poco meno di 210mila lavoratori. Cifre che però non possono essere considerate ufficiali perché perfino il bilancio è diventato un piccolo rebus. Al ministero – dicono i sindacati – non c’è un elenco aggiornato e la ricostruzione sta impiegando più tempo di quanto si potesse pensare. L’ingresso continuo di nuove vertenze e la difficoltà di definire del tutto chiuse quelle aperte da anni complicano la ricognizione. Sulla base dei vari verbali relativi ai tavoli coordinati, la stima del Sole 24 Ore è di circa 49mila lavoratori coinvolti al Nord, 44mila al Sud, 37mila al Centro. Altri 78mila lavoratori invece sono coinvolti in tavoli che hanno ricadute su regioni in diverse macroaree del paese. Circa il 35% dei quasi 210mila lavoratori è impiegato in imprese a maggior rischio di chiusura, quindi dalla ricollocazione più complessa. Un tavolo su cinque, all’incirca, riguarda aziende che in parte o totalmente sono state interessate da cessazione di attività in Italia per delocalizzazione all’estero.

La mappa dei settori vede un picco nel commercio, con 36mila addetti compresi quelli toccati dalle più recenti vertenze Auchan e Mercatone Uno. Più di 20mila gli addetti che lavorano nell’industria siderurgica, 19mila nel settore degli elettrodomestici, quasi 17mila nei call center, 14mila nell’information technology, oltre 9mila nelle telecomunicazioni, quasi 7mila nell’edilizia, intorno ai 5mila nell’automotive.

Poi, dietro al freddo conteggio, c’è una gestione fortemente criticata dai sindacati. La Cisl (si veda «Il Sole-24 Ore» del 29 maggio) ha evidenziato una governance «burocratica e istruttoria», che pecca nella fase di reindustrializzazione e riconversione. Per la Cgil mancano i risultati nel rilancio di aziende che restano aggrappate allo strumento della cassa integrazione straordinaria, che nel primo quadrimestre del 2019 ha segnato un incremento del 26% su base annua. Il monitoraggio sullo stato di attuazione degli impegni presi dalle imprese funziona a singhiozzo. Dopo l’uscita di Giampietro Castano, che aveva curato la gestione delle crisi aziendali per quasi 11 anni, il tema delle competenze tecniche al ministero è diventato centrale. Il coordinamento delle crisi è passato all’ex deputato dei Cinque Stelle Giorgio Sorial, adesso vice capo di gabinetto del ministro Luigi Di Maio, e i sindacati lamentano un sottodimensionamento della struttura che si occupa del tema. A supportare Sorial, come esplicitato dal riassetto dello Sviluppo economico, approvato con Dpcm dal consiglio dei ministri lo scorso 19 giugno, dovrà essere la direzione Politica industriale e non il segretario generale.

Intanto i tempi per chiudere molte tra le vertenze più delicate si stringono. Di Maio deve innanzitutto trovare una via di uscita dal tortuoso labirinto in cui si è infilato con Alitalia ed ex Ilva, i simboli di una politica industriale sottile come carta velina. Ma c’è anche il caso Whirlpool a Napoli e ci sono i ritardi sul rilancio dell’ex Embraco, c’è la decisione di pochi giorni fa dell’americana Jabil di licenziare 350 dipendenti in provincia di Caserta, c’è l’affannoso lavoro degli advisor per selezionare degli investitori validi per Bekaert e Pernigotti. C’è lo stallo sul rilancio dell’ex Alcoa, adesso Sider Alloys, perché il riconoscimento delle agevolazioni energetiche promesse all’acquirente è stato rimesso in discussione dal ministero per il cambiamento negli ultimi due anni del Pun, il prezzo di riferimento dell’energia rilevato sulla borsa elettrica.

Sarà un’estate decisiva. Per molte aziende l’ultima chiamata per il

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